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  • Avv. Noemj Idone

LA TASSAZIONE INTERNA DEI DIVIDENDI DI FONTE ESTERA E IL DIVIETO DI DOPPIA IMPOSIZIONE

L’errato coordinamento della normativa nazionale con le disposizioni contenute nelle Convenzioni sulla doppia imposizione rischia di generare un fenomeno di doppia imposizione


Alla luce delle norme nazionali, la tassazione dei dividendi di fonte estera si caratterizza diversamente a seconda che l’incasso avvenga a cura dell’intermediario residente, che interviene nella riscossione mediante ritenuta d’ingresso (con applicazione di aliquota pari al 26% o al 12,5%) oppure mediante tassazione sostitutiva (con applicazione di aliquote pari al 26% o al 12,5%), operata da parte dello stesso contribuente al momento della presentazione della dichiarazione con compilazione del Quadro RM.


Il quadro normativo rivela il problema di affrontare la doppia imposizione, a cui il contribuente è esposto quando si trovi a incassare i dividendi mediante intermediario non residente.


Si suole, in dette ipotesi, applicare il meccanismo del c.d. “netto frontiera”, nel senso che l’imposta sostitutiva è calcolata sull’importo del dividendo al netto delle ritenute già operate.

Ebbene, in tal modo, il contribuente che riscuota il dividendo senza l’intermediario residente non avrebbe modo di recuperare la ritenuta già versata nello Stato estero di percezione, con conseguente doppia imposizione su un medesimo reddito e nei confronti del medesimo soggetto.


Di conseguenza, l'unico strumento possibile per evitare tale effetto distorsivo sembrerebbe essere il riconoscimento di un credito di imposta rispetto alle somme versate all’estero a titolo di ritenuta.



La riconoscibilità del credito d’imposta rispetto al pagamento di ritenute operate su dividendi di fonte estera


Il fenomeno della doppia imposizione giuridica generata dall’applicazione di una ritenuta nello Stato di percezione non può essere letto disgiuntamente da quello legato all’imposizione nello Stato di residenza, poiché il soggetto inciso si trova costretto al versamento delle imposte dovute sui dividendi sia nello Stato della fonte, sia in quello della residenza, senza possibilità di evitare detta doppia imposizione.


Di conseguenza, qualora i dividendi siano di fonte estera, il mancato riconoscimento del credito d’imposta da parte dello Stato di residenza del percettore rischia di delineare un elemento di incoerenza del sistema normativo, oltre che un intollerabile caso di doppia imposizione.


La posizione del residente che percepisce i dividendi per mezzo di un intermediario residente e la posizione del residente che percepisce i dividendi per mezzo di un intermediario non residente è analoga, ma un diverso calcolo della base imponibile sulla quale applicare l’aliquota del 26% comporta un carico fiscale differente, oltre che doppio.

Similmente a quanto previsto per i dividendi percepiti per il tramite di un intermediario finanziario residente che, agendo da sostituto di imposta, applica l’aliquota del 26% all’ammontare lordo dei dividendi percepiti, così esaurendo la pretesa impositiva; analoga considerazione potrebbe valere con riferimento all’imposizione sostitutiva operata direttamente dal contribuente in sede dichiarativa. In sostanza, l'imposta sostitutiva andrebbe applicata sull’ammontare lordo dei dividendi percepiti, salvo poi sottrare da questo l’ammontare delle ritenute operate dallo Stato estero, con conseguente riconoscimento del relativo credito d’imposta.


Un diverso trattamento appare come discriminatorio e, quindi, restrittivo delle libertà fondamentali.


Sul punto, la Corte di Giustizia della Ue con la sentenza C-233/09 del 1 Luglio 2010 (con riguardo all'ordinamento tributario belga) ha affermato il principio secondo il quale non è compatibile con il diritto della Unione europea un regime tributario che, a fronte di redditi aventi la medesima natura, assoggetta a un carico impositivo più oneroso quelli riscossi attraverso intermediari non residenti.



SULLA TASSAZIONE DEI DIVIDENDI PERCEPITI IN SPAGNA DA UN SOGGETTO RESIDENTE IN ITALIA


I dividendi, che un soggetto residente in Italia percepisce in Spagna mediante intermediario non residente, sono generalmente ivi tassati mediante applicazione di una ritenuta pari al 15% dell’importo percepito.


Rispetto a tale ipotesi, come coordinare la normativa interna con quella estera?

Una soluzione potrebbe derivare dalla lettura della Convenzione tra Italia e Spagna per evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito.


In particolare, l’art. 10, comma 2, della Convenzione deroga alla regola generale secondo la quale l’imposizione dei dividendi deve avvenire nello Stato di residenza del percettore, prevendendo che lo Stato di provenienza possa applicare un’imposta non eccedente il 15% dell’ammontare.


Tale deroga può essere letta in combinato disposto con l’art. 22 della Convenzione, che ai fini del calcolo delle proprie imposte sul reddito legittima l’Italia, quale Stato di residenza, ad includere nella base imponibile di tali imposte gli elementi di reddito che il proprio residente ha percepito in Spagna, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente.


In tal caso, l’Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Spagna, a meno che l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario del reddito in base alla legislazione italiana.


Seppure le norme nazionali nulla dispongano rispetto alla modalità di calcolo della base imponibile sulla quale applicare l’imposta sostitutiva in sede di dichiarazione, seppure l’Amministrazione finanziaria nulla abbia indicato in tal senso, l’interpretazione sistematica delle norme convenzionali e nazionali parrebbe deporre nel senso di applicazione dell’aliquota pari al 26% ai fini dell’imposta sostitutiva sull’intero importo lordo dei dividendi percepiti all’estero, da cui deve poi essere sottratto l’importo versato per le ritenute operate nello Stato di provenienza del dividendo, con conseguente riconoscimento del credito d’imposta.


Il contenuto delle norme convenzionali, infatti, deve essere interpretato anche alla luce della ratio sottesa allo strumento convenzionale, volta all’eliminazione di intollerabili fenomeni di doppia imposizione.


Solo una siffatta attività interpretativa può garantire la coerenza del sistema giuridico tributario, nonché l’assenza di discriminazione rispetto a posizioni soggettive analoghe, riducendo e/o eliminando il rischio di una doppia imposizione a danno del contribuente.



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